COVID-19 e trombosi: un’associazione di cui si è parlato spesso, anche a livello mediatico, nei giorni più caldi della pandemia, quando l’intero spettro delle manifestazioni cliniche del nuovo coronavirus era ancora in larga parte sconosciuto. Subito dopo le polmoniti interstiziali, gli italiani hanno capito che anche le trombosi potevano essere una drammatica conseguenza del contagio.
La gestione del problema tromboembolico in questi pazienti non è però ancora del tutto chiara. Poco si sa, inoltre, delle conseguenze a lungo termine del COVID-19 e del rischio di disabilità residua in pazienti severi e critici dopo la fase acuta, ipotizzando in tal senso anche il rapporto causale con fenomeni tromboembolici persistenti.
All’IRCCS Maugeri di Telese Terme (BN), alcuni ricercatori e clinici collaborano con l’Università Federico II di Napoli allo studio delle manifestazioni trombotiche e delle variazioni dei parametri di coagulazione in pazienti con COVID-19 in fase acuta e post-acuta. Coordina Pasquale Ambrosino, Medico Internista presso la U.O. di Riabilitazione Cardiologica dell’Istituto telesino.
“I nostri sforzi”, spiega, “sono mirati all’identificazione di nuovi biomarcatori ed indicatori prognostici che consentano una migliore stadiazione della malattia e la formulazione di percorsi riabilitativi personalizzati dopo la fase acuta. Ciò nasce dalla necessità di implementare protocolli terapeutici specifici nell’ambito di una patologia disabilitante di grande rilevanza epidemiologica e ad alta complessità."